giovedì 5 giugno 2014

Sport e Vita

Non nascondo mai l'immensa soddisfazione che provo nel lavorare con gli atleti, sia che appartengano a club privati, che spicchino nelle file delle federazioni nazionali.
Ad ogni livello, la motivazione e l'adrenalina di vedere in modo diretto i risultati del trainig psicofisico fatto insieme, arricchisce il mio lavoro di psicoterapeuta.
Lo sport ha rappresentato una fetta molto importante della mia vita e della mia formazione, quindi, unire la mia esperienza di atleta alla conoscenza professionale, significa aggiungere una marcia in più nella relazione con il paziente-atleta.
Definirei lo sport come un istinto innato nell’uomo, in cui il confronto e superamento dei propri limiti, insieme all'esigenza di misurarsi affrontando l'altro, esistono sin dall'antichità e non solo, ogni concetto nello sport rappresenta una vera e propria metafora di vita.
Pensate a frasi come “Non mollare, cadere al tappeto, puntare più in alto, vincere la sfida, condurre il gioco, tenere testa, ansia da prestazione, superare gli ostacoli, cadere, risollevarsi….e ce ne sono d’ infiniti altri; sono tutti modi di dire che nascono dal linguaggio sportivo ma appartengono alla nostra quotidianità descrivendone aspetti salienti e vitali.
Praticare sport a livello dilettantistico è importante per attivare tutte le risorse che risiedono nel nostro corpo, che è come un industria che possiede già al suo interno tutti gli elementi per costruire il “benessere psicofisico”, parola abusata su ogni fronte del marketing pubblicitario, dalle creme alle palestre ma cosa significa? Significa che l’essere umano dovrebbe tendere ad un equilibrio fra attività e consapevolezza sia della mente che del corpo. Quindi risulta fondamentale, non solo una buona istruzione e capacità intellettuale, ma anche un'educazione alle possibilità corporee di movimento e percezione che alla fine renderanno sempre più consapevole l'individuo dell’artificialità della divisione fra mente e corpo.
La spinta educativa verso l'integrazione ed il bilanciamento di attività definite fisiche a fronte dell’incalzante avvento della “palestra intellettuale” è di fondamentale importanza fin dai primi anni di vita, in cui i bambini hanno molta più facilità ad assimilare concetti facendo e muovendosi piuttosto che stando fermi ad ascoltare.
Lo sport o il movimento fisico dovrebbero rappresentare a mio avviso, un’azione quotidiana di ogni persona, dal neonato all'anziano.
Sono certa che a molti di voi sarà capitato almeno una volta di trovarsi a fare jogging o andare in bici o nuotare e nel frattempo assistere al proprio scorrere dei pensieri in modo più veloce, lucido e produttivo, nel senso che dopo quella mezz’ora di attività fisica avete dato soluzione o risposta a qualche vostro quesito. Questo è un semplice esempio di come l'attivazione sia sempre psicofisica e per dirla in termini semplicistici: il movimento prolungato del corpo ha attivato il lavoro della mente , producendo un ottimo traguardo sui due fronti .
Capite bene che, se questo stretto legame fra i pensieri e il movimento accade già nel quotidiano, diventa determinante nel percorso dell’atleta. Più è elevato l'impegno agonistico e più blocchi e nuclei irrisolti emergono,dando luogo durante la competizione,un fallimento inaspettato o un peggioramento della prestazione.
Ecco spiegata l'importanza di un buon training psicofisico, che al pari di un costante allenamento nella propria disciplina sportiva, determina il successo dell’atleta, mettendolo più possibile al riparo dai tranelli e dagli auto sabotaggi che esso stesso, suo malgrado può mettere in atto in gara. La competizione è prima di tutto con i propri limiti psicofisici e poi, solo in seconda battuta, con l’avversario.

mercoledì 9 ottobre 2013

Quando nasce un genitore...







Si sente sempre più spesso parlare di genitorialità in ambito giuridico, dove si va ad indagare la capacità del genitore di prendersi cura del proprio figlio affinchè venga garantito a quest'ultimo un sano sviluppo psicofisico.Tale capacità viene verificata soltanto in quei casi in cui i servizi sociali o il partner stesso della coppia, evidenzia una problematica nel minore, e ha la necessità di verificare attraverso una perizia psicologica o psichiatrica, l'attitudine del genitore su cui ricadono dubbi di scarsa o assente capacità genitoriale.

Sebbene in moltissimi casi queste indagini risultino salvifiche per i bambini in questione, perchè evidenziano problematiche e carenze psicologiche del genitore a volte molto gravi e ben nascoste fra le mura domestiche, in altri casi la perizia sulla genitorialità può divenire la triste arma del contendere in situazioni matrimoniali conflittuali che ricadono pesantemente sul minore che, oltre a subire il lutto della perdita della coppia genitoriale intesa come unità, si ritrova in balia di test e colloqui d' indagine,  nel migliore dei casi o addirittura trasferito in casa famiglia, quando il conflitto fra i coniugi risulta insanabile e si ritiene opportuno, fino ad accertamento terminato, l'allontanamento dai genitori. Ora capirete bene la delicatezza ed importanza di questo argomento, che per scelta oggi voglio trattare, dopo questa breve premessa su quanto  accade in ambito giuridico, nel contesto della quotidianità familiare, quindi non sotto giudizio.


Parliamo di due individui che assumono in automatico l'identità di genitori "soltanto"per il fatto di aver procreato uno o più figli. La mia non vuole essere una facile provocazione, ma nei fatti, definendo genitori due persone in base a questo unico criterio giuridico e sociale, si commette a mio avviso l'errore maldestro di dare per scontati tutta una serie di importantissimi e difficili passaggi, che in ambito psicologico richiedono tempo,consapevolezza e capacità di messa in discussione.Quindi si può tranquillamente rispondere alla fatidica domanda:genitori si nasce o si diventa,con un sonoro, genitori si diventa!Ed è un percorso sia della coppia, che deve necessariamente evolvere ricercando un nuovo equilibrio, che individuale del singolo, e qui mi riferisco anche e soprattutto ai genitori single che assumono su loro stessi un ruolo ancor più arduo su cui dover a maggior ragione lavorare in modo consapevole.



Entriamo nello specifico, pensando per un attimo a quel meraviglioso momento di grazia che si vive la prima volta tenendo fra le braccia il proprio bambino.In quell'istante inizia un processo che andrà avanti all'infinito fino alla fine dei nostri giorni, quel processo io lo chiamo "messa davanti allo specchio", nel senso che quel piccolo essere umano rifletterà la parte più nascosta di te anche e soprattutto quei nodi sepolti ed inascoltati ,costringendoti, nel bene o nel male ad entrarci in relazione.Credo sia fondamentale essere consapevoli della messa davanti










allo specchio, poichè non considerarla può condurre a momenti di sconforto, insofferenza e frustrazione.Invece è bene partire subito dal principio con la convinzione che quel piccolo essere ci sente più di ogni altro al mondo ed è anche termometro infallibile della coppia e dell'ambiente che lo circonda, non lasciandoci quindi sedurre da teorie deresponsabilizzanti che vorrebbero farci credere che il bambino ci arriva bello ed impacchettato con un suo carattere.Ora rispondo alla domanda che mi viene posta più di frequente sull'argomento: ma perchè allora i figli di una stessa madre e stesso padre, anche con pochi anni di differenza sono spesso totalmente diversi?La mia risposta innanzitutto è che la coppia è in continua evoluzione e anche a pochissimi mesi di distanza attraversa fasi completamente diverse e fa circolare emozioni differenti, ma soprattutto non esiste una gravidanza uguale all'altra anche per la stessa donna.


Partiamo infatti dal fondamento che quei nove mesi forgiano le abitudini, e gli atteggiamenti del nascituro più di come uno scultore farebbe con la creta in mano.Le tensioni, i malesseri o le ansie della madre passano allo stesso modo del cibo nel cordone ombelicale,anzi immaginate l'utero come una culla che si plasma attorno al feto: più la donna vive "tensioni",e per tensioni intendo ovviamente pensieri e malesseri a livello sempre psicofisico, e più la culla, da comoda imbottitura quale dovrebbe essere, si trasforma pian piano in rigido legno o ancor peggio in  freddo acciaio.Passatemi la crudezza delle immagini, servono a dare voce a chi voce per nove mesi non ne ha.Una volta nato il bambino viene raccontato dai genitori colorito sia dalle fantasie,paure e speranze della coppia, sia in base alle sue prime risposte  al nuovo ambiente esterno e troppo facilmente si cade nel tranello del non considerare quanto detto sopra, definendo quindi il figlio in base ad un carattere invece di farsi tante e tante domande su come noi interagiamo con lui.Il nodo è sempre quello, la messa allo specchio!Ce la facciamo a sostenere il nostro senso di inadeguatezza al nuovo ruolo?a sentire come il nostro genitore interno (che abbiamo conservato e ricostruito in base a ciò che abbiamo vissuto con i nostri genitori), esca spesso  fuori pilotando in modo automatico le nostre azioni in un modo che ci rende ciechi di fronte alle attuali esigenze del bambino?






E' vero,la nostra mente è una grande ecologista e tenta sempre di portarci al risparmio energetico,ma nel procedere semplicemente riproducendo vecchi schemi appresi, molto spesso si perde l'occasione di diventare genitori dei nostri figli, che non sono dei piccoli noi, o meglio non lo vorrebbero diventare, visto che noi non dovremmo imitare i nostri genitori, almeno non negli errori.



Lasciandoci alle spalle le convinzioni popolari che ci deviano riempiendo la testa con il fantomatico istinto materno, che da secoli è il maggior alimentatore delle depressioni post - partum, riusciremo ad evitare nella donna le false aspettative di efficienza immediata ed innata con il bambino, che invece è un familiare estraneo, da dover conoscere, comprendere  e con cui creare una lenta confidenza che si svilupperà nel tempo.










Già questo piccolo espediente ci ripone con i piedi per terra e con gli occhi su nostro figlio, che vive nel presente in un costante e vitale dialogo con noi, fatto di sguardi suoni e tensioni corporee a cui prestare ascolto per modulare in modo consono le nostre, con l'idea di ricreare anche all'esterno quel famoso utero imbottito che dovrebbe circondare il feto nei nove mesi di vita intrauterina prima, e nel contatto con la madre ed il padre dopo.Avete capito bene ho scritto PADRE, quel misterioso essere che viene generalmente accantonato non solo nella gestazione, ma soprattutto dopo la nascita. All'uomo si racconta la favola, pari a quella dell'istinto materno per la donna, che il neonato sarà della madre fino ai tre anni, dopo di che il papà potrà intervenire nel gioco tralasciando il fatto che a quel punto si sarà perso  l'importantissimo primo periodo di vita in cui si costruisce l'intimità e la relazione.


Un padre consapevole di sè stesso è per il figlio efficiente e vitale tanto quanto la madre, ha una sensibilità diversa, sicuramente, poichè deve compiere lo sforzo maggiore dato dal fatto che per quei nove mesi non ha vissuto il figlio in grembo, ma di sicuro, la presenza di entrambi i membri della coppia che si alternano in modo complice e sereno nell'accudimento fin dai primi momenti dopo la nascita del piccolo, garantisce la ricchezza e completezza nel veder soddisfatte pienamente le richieste del neonato, poichè i due partner si completano unendo le loro capacità di comprendere l'intera tavolozza emotiva del bambino.Questo fa nascere madri più sicure e meno ansiose e nuovi padri presenti e gratificati da donne che li stimano e non li gestiscono, tutto questo in un' atmosfera che garantisce serenità ed equilibrio e che cancella  una volta per tutte gli egoismi personali degli adulti mettendo finalmente al centro i figli. 

Nota al lettore:Spero vogliate perdonare questi sei mesi di assenza dal blog ma sono alle prese con la gravidanza.....a Gennaio rinascerò madre per la seconda volta :-)




sabato 27 aprile 2013

"TravelTherapy" il viaggio come percorso interiore




Una delle mie convinzioni più grandi è che il Viaggio di una persona, fisico o immaginativo, sia un potentissimo strumento di crescita,scoperta e cambiamento.
Nel viaggiare c'è un implicito spostamento e movimento,passiamo quindi da una situazione di staticità ad una di attivazione, ciò comporta necessariamente che la persona attinga alle sue risorse di "bagaglio conosciuto".Infatti prima di partire si prepara una valigia con " le nostre cose",e quanto più grandi sono le nostre valigie, è quanto più ci vogliamo sentire protetti e circondati da queste.
Il viaggiatore esperto e appassionato porta con sè solo "poche cose"che gli potranno essere utili una volta arrivato alla meta, lì dove non ci saranno ad attenderlo striscioni di benvenuto o strade note da percorrere in automatico ma soltanto stimoli nuovi e scenari sconosciuti, così, quanto più leggero sarà il bagaglio che si porta sulle spalle e quanto più agevole sarà lo spostamento e la ricerca di un luogo dove potersi riposare dal lungo viaggio.
Il lettore attento avrà già notato che ogni parola fino a questo punto utilizzata rappresenta di per sè una metafora del viaggio interiore dell'uomo.Un viaggio che spinge l'essere umano ad abbandonare il territorio conosciuto della propria quotidianità.Ognuno di noi infatti percepisce ed interpreta ciò che lo circonda con delle mappe mentali che lentamente dalla nascita si formano e stabilizzano nel nostro cervello, diventando delle vere e proprie griglie di lettura con cui diamo senso alla realtà. 

Queste mappe mentali sono utili e ci permettono anche di essere più rapidi nelle scelte e nel pensiero, ma di contro limitano la nostra capacità di considerare le strade alternative e le soluzioni creative che molto spesso sono anche quelle determinanti nella risoluzione dei momenti di enpasse. 


Nel viaggio esplorativo,quindi non organizzato o all'interno di strutture turistiche, i nostri sistemi di riferimento saltano, per dare al cervello la possibilità di accogliere il "nuovo",ovvero tutti quei nuovi stimoli che il diverso contesto ci presenta.Immaginate quindi una mente aperta bombardata da una pioggia di stimoli come fosse una spugna morbida che assorbe tutta l'acqua, al contrario una mente difesa, legata alle proprie abitudini, per intenderci il tizio dalle valige pesanti che vorrebbe portare con sè la sua casa ,ha una mente come un riccio chiuso, su cui l'acqua scivola e non penetra, anzi, quelle gocce rendono più ispidi gli aculei.Ciò non vuol dire che sarà impossibile per una mente difesa trarre nutrimento dal viaggio, bensì necessiterà di maggior tempo,tentativi e qualche sofferta rinuncia in più, che con la volontà di riuscire lo vedrà lentamente trasformato da riccio a morbida spugna.
Viaggiare non significa solo rompere gli schemi della propria routine e aprirsi e adattarsi al "nuovo",viaggiando si segue anche un istinto primordiale che appartiene da sempre al genere umano, che da sempre ha sì sentito l'esigenza di mettere radici e costruire su terreni fertili da coltivare ma ancor prima,esplorare,cercare e conquistare nuovi spazi. 
Questo viaggio esplorativo è depositato nei nostri geni come un patrimonio silente e molto spesso inespresso ma è insito in noi, rappresenta ai giorni nostri, la libertà che ci concediamo o meno di spingerci oltre i nostri confini,fisici e mentali, per esplorare e conquistare luoghi esterni, visitandoli ed entrando in contatto con culture diverse dalla nostra.
In questo tipo di viaggio accade anche che la persona si riappropri di parti di sè da sempre lasciate in ombra, abbandonate o addirittura completamente sconosciute. E' per questo che io definisco Ritrovarsi...in Viaggio, il mio progetto di viaggi esperienziali, due viaggi in uno,quello fisico e quello interiore, in cui il potere trasformativo del viaggio esplorativo traccia le linee di un percorso per la persona,fatto di laboratori espressivi, gruppi di apprendimento e contatto con i sistemi di cura tradizionali.Se vi incuriosisce l'argomento clicca qui.

venerdì 5 aprile 2013

Metafore Concrete la chiave per la Psicosomatica

Ascoltando con attenzione parlare una persona, si possono cogliere delle immagini disseminate in ogni frase, come ad esempio "il peso di questa situazione grava sulle mie spalle", "quella persona mi sta sullo stomaco","ho la testa pesante, piena di pensieri",""questa situazione mi disgusta o non riesco proprio a mandarla giù","mi trascino da anni il peso di questa storia","ho la morte nel cuore","questa notizia mi ha piegato, mi ha buttato giù"etc....se ci pensate ne troverete infinite, sono tutte Metafore e non solo, in Psicofisiologia Clinica rappresentano Metafore Concrete, dal momento che vengono fuori nel nostro linguaggio quotidiano proprio perchè sono già inscritte nel nostro corpo a livello fisiologico e posturale.
Mi spiego meglio, nella mia pratica terapeutica è normale lavorare sulla Gastrite o sul Reflusso Gastroesofageo  di una persona, facendo elaborare sia la situazione relazionale "indigesta" che l'hanno causata e relativo vissuto di rabbia e frustrazione correlate,ma anche suggerire delle piccole modifiche posturali da poter sperimentare da soli nel quotidiano.
Perchè questo approccio risulta efficace?
Perchè estirpa alla radice la modalità disfunzionale che alimenta il problema.
Per la persona, comprendere che, l'immagine di peso che si porta sulla spalle o il digusto che prova per qualcosa, non sono solo modi di dire ma concreti schemi  mentali che plasmano la sua postura e che, se protratti nel tempo, alterano la sua fisiologia dando origine a disagi e patologie conclamate.

Sembra strano ma per la maggior parte delle persone è molto più facile credere che esistano delle malattie che in modo casuale si creano dal nulla nel corpo, piuttosto che accettare che i nostri pensieri sono immagini potenti che condizionano il nostro corpo e le nostre  relazioni.Forse perchè accettare che abbiamo grandissimo potere su noi stessi implica una responsabilità e rende totalmente inefficace delegare i nostri problemi a farmaci pagliativi e non risolutivi nella stragrande maggioranza dei casi.

Credo invece che la reale risoluzione di molti disagi, implichi la consapevolezza che abitudini disfunzionali, abbiano "costruito una situazione che ora si chiama problema".Tale problema o patologia si è formato nel tempo, anche se noi ce ne accorgiamo soltanto ora, che ne avvertiamo in modo evidente gli effetti.Allo stesso modo, nel tempo il problema può scomparire, scoprendo e modificando le modalità con cui l'abbiamo costruito.
Ora un invito: provate ad ascoltarvi mentre parlate o descrivete a qualcuno come state e come vi sentite,potreste già scoprire delle Metafore Concrete che vi guidano tenedo presente che ci sono anche molte metafore positive e sicuramente almeno una volta vi sarà capitato di sentirvi come se....
    

lunedì 25 marzo 2013

Vertigini e Fiducia



"La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare.....mi fido di te..."Lorenzo Cherubini 

Questa poetica frase, tratta dal testo di una canzone di Jovanotti, è a mio avviso emblematica rispetto a dei vissuti psicofisici,quali sono le Vertigini, che in alcuni momenti  possiamo avvertire senza nessuna motivazione patologica. Mi è spesso capitato di ascoltare alcuni miei pazienti che non riescono a spiegarsi il sopraggiungere improvviso di vertigini o sensazioni di sbandamento momentaneo.Sistematicamente, dopo aver chiesto di descrivere tali sensazioni e i momenti in cui vengono avvertite, iniziamo insieme a pensare al presente, e nello specifico a quali situazione o pensieri convivono nella persona.Da subito si evidenziava che la condizione in cui si trova il paziente è di  bilico fra due istanze, come ad esempio scegliere fra: andare o non andare, cambiare o non cambiare, lasciarsi andare oppure no.
Tutte queste situazioni di bivio, vissute apparentemente come pensieri che semplicemente  si alternano nella "mente", in realtà sono riprodotte sempre a livello muscolare in modo impercettibile ma efficace, al punto tale da creare una concreta alternanza di aggiustamenti posturali a seguito di vere e proprie microscillazioni da "un versante all'altro del corpo" e non solo fra un pensiero e l'altro. Ecco le vertigini!
Svelato il processo che genera tale malessere, ovviamente il mio compito clinico e di far elaborare prima tale vissuto e accompagnare la persona nella scelta, cercando di farla restare più possibile aderente alle sue reali, profonde esigenze e volontà.
La Vertigine, riprendendo fedelmente il testo della canzone è voglia di volare! e per volare è necessario  lanciarsi ma soprattutto lasciarsi andare, condizione per la quale è indispensabile fidarsi prima di "qualcuno che stia li a prenderci se cadiamo" e conseguentemente ciò porta ad aver fiducia in noi stessi.
L'esperienza della Fiducia dovrebbe nascere e fortificarsi nel tempo all'interno delle relazioni significative del bambino, con i propri genitori in primo luogo, ma anche con parenti, amici ed educatori.Ci si dovrebbe alimentare di fiducia come di cibo ma purtroppo non accade sempre così, o almeno non del tutto, così questa insicurezza, che non mi annoierò mai di ripetere,è sempre un concetto psicofisico che si inscrive nel corpo e quindi nelle sensazioni e vissuti,si traforma in necessità di "Controllare".
Controllare in primis il proprio corpo, creando rigidità posturale e controllare i propri pensieri, che si traduce in un pensiero iper razionalizzante che allontana l'individuo dai suoi veri bisogni. In questa rete di pensieri è facile restare bloccati al bivio e il compito dello psicoterapeuta  è proprio quello di far vivere alla persona quella condizione di fiducia per cui riuscirà a dire "mi fido di te" e quindi poi anche di me... e ora posso anche Volare!!